Esperienza di viaggio
L’estate scorsa sono stata in vacanza in Indonesia con i miei genitori.
L’esperienza che mi ha più colpita e meravigliata è stata la purificazione dell’anima a cui abbiamo potuto partecipare nel tempio di Tirta Empul vicino alla città di Ubud, nell’isola di Bali.
Entrati nel luogo sacro, dopo aver rivolto un inchino di fronte alla divinità, ci siamo recati negli spogliatoi dove abbiamo indossato delle vesti di colore verde smeraldo. All’inizio ero un po’ agitata e ansiosa perché inconsapevole di ciò che stavamo per compiere, ma nel contempo il desiderio di conoscere e apprendere ciò che mi aspettava destava in me curiosità e impazienza. La nostra guida, un monaco, devoto a Visnù, ci ha spiegato che il colore verde nella religione induista rappresenta la purificazione, la speranza e la forza del drago.
In seguito ci siamo recati all’aperto e di fronte alle vasche per la purificazione abbiamo iniziato il rito. Ci siamo seduti in semicerchio con le gambe incrociate e ciascuno di noi ha riempito un piccolo cestino realizzato con foglie di bambù con del riso rosso e nero simbolo della fortuna e dei petali di fiori bianchi e gialli. Su di essi vi abbiamo posato delle monete bucate al centro e acceso dei bastoncini di incenso.
Abbiamo poi iniziato la meditazione con le mani posizionate nel simbolo dell’Om in modo tale che l’odore penetrante dell’incenso, simbolo dell’anima, avesse potuto liberare la nostra mente. La guida ci ha spiegato che questo è il rito fondamentale, in cui bisogna aprire il nostro cuore e farvi fluire tutti i pensieri così che lo spirito del bene possa entrarvi per esaminarli e raccogliere quelli cattivi.
Lo scorrere placido delle acque, il frusciare delle fronde dei grandi alberi e il silenzio dominavano questo momento di ricerca nei meandri dell’anima.
Dopo circa dieci minuti di riflessione ci siamo alzati e abbiamo consegnato le offerte al sacerdote del tempio. Poi siamo entrati in una delle due vasche. L’acqua era fredda e molti pesci colorati, specialmente carpe, guizzavano e nuotavano fra le gambe dei penitenti. La vasca era decorata con altorilievi ricoperti in parte da piante rampicanti e muschi. Essi rappresentavano draghi e animali mitologici, fiori e uccelli esotici. Uno dei quattro lati della vasca era più alto e lì si trovavano dodici getti di acqua rappresentanti demoni con le fauci spalancate.
Cercavo di scrutare l’ambiente, come se dovessi farne un dipinto nella mia memoria, in modo che ogni dettaglio e ogni particolare si conservasse indelebile dentro di me.
Il monaco ci ha spiegato che in quel momento dovevamo fare delle abluzioni bagnandoci la testa e il collo, tenendo le mani giunte e un atteggiamento di penitenza e sottomissione.
In questo modo i demoni cattivi avrebbero potuto abbandonare la nostra anima e i nostri tormenti e le preoccupazioni sarebbero svaniti.
Il cuore mi batteva all’impazzata soprattutto per paura di interrompere la sacralità di quel momento con qualche gesto goffo e inesperto. Solo dopo essermi bagnata con l’acqua pura che sgorgava vivace dalla prima fontana mi sono tranquillizzata e un senso di pace e serenità mi ha pervasa.
Infine dopo avere salito una scalinata anch’essa immersa nell’acqua ci siamo recati alla sorgente, simbolo del perdono. Essa era di origine vulcanica, e l’acqua sgorgava da un foro sul fondo gorgogliando e formando grosse bolle. Non ci siamo avvicinati molto perché si sarebbero potuti formare piccoli vortici pericolosi per i visitatori.
Questo rito mi ha fatto riflettere e pensare molto, e attraverso di esso ho potuto comprendere come i fedeli della religione induista siano devoti alle loro divinità. Inoltre ho potuto capire il vero significato di purezza per questo popolo, molto diverso e distante dal mondo occidentale.
Margherita Bardelli I R