Albert Camus e il teatro dell’assurdo

Di Bohdan Tsibla

Per la prima volta nella storia del Novecento il termine “assurdo“, associato al teatro, comparve nell’opera “The theatre of the Absurd” di Martin Esslin nel 1961. Per il critico, il teatro consisteva nella messa in scena del concetto di assurdità esistenziale. Questa tipologia di teatro contemporaneo venne maggiormente sostenuta ed esplorata dagli autori dell’esistenzialismo, in particolare da un drammaturgo francese Albert Camus.

La biografia:

Albert nacque da una famiglia estremamente povera in Algeria francese nel 1913. Dopo la morte del padre nella prima guerra mondiale, si trasferì ad Algeri dove frequentò tutti i gradi della scuola. Grazie all’aiuto del suo professore che gli diede le lezioni private gratis, riuscì a superare il test d’ingresso di una delle università più prestigiose di Algeri e a vincere la borsa di studio. Camus brillò sin dall’inizio nel suo percorso di studi nella facoltà di filosofia. Purtroppo, però, la tubercolosi gli impedì di frequentare i corsi universitari e di giocare a calcio, sua grande passione, perciò finì gli studi da privatista scrivendo nel 1936 una tesi su Plotino e Sant’Agostino.

Durante gli anni universitari Albert Camus aderì presto ai movimenti antifascisti e successivamente al partito comunista francese. Il distaccamento dalle teorie di Carl Marx gli portò critiche da parte dei colleghi. Lo scrittore venne espulso a seguito delle critiche dal partito e si convertì a una forma molto moderata dell’anarchismo. Il fatto di non essere accettato e la tubercolosi fanno sentire il giovane Albert un estraneo alla vita e proprio questi eventi lo portano a una profonda riflessione sulle questioni esistenziali. Inizialmente il giovane Camus lavorò come un giornalista specializzato nella cronaca poi però venne assunto dal quotidiano algerino “Alger-Républicain”. Presto lo scrittore finì sotto osservazione e successivamente sotto censura da parte di autorità giudiziarie e politiche, in quanto attraverso la sua attività giornalistica denunciava lo stato di miseria e le condizioni lavorative dei Nord-Africani imposte dalla politica colonialistica francese.

In quei anni Albert Camus iniziò a scrivere uno dei suoi primi romanzi più riconosciuti ovvero “L’Étranger” ( “Lo Straniero”), in cui si nota la sua appartenenza all’esistenzialismo e vi è una prima esplorazione all’interno del romanzo del concetto dell’assurdo.

Il protagonista de “L’Étranger” in una scena tratta dal film “Lo Straniero” del 1967 diretto da Luchino Visconti.

Durante la seconda guerra mondiale Camus si ritrovò a dover lasciare l’Algeria e a spostarsi in Francia sia per motivi di guerra sia per motivi di salute in quanto soffriva di una grave tubercolosi. In questi anni difficili per il mondo e per lo scrittore, Maria Cesarès che era un’attrice spagnola diventò l’amante del drammaturgo. Camus la ricorda in una raccolta epistolare intitolata “Correspondance” ovvero le corrispondenze.

Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1957, il drammaturgo ricevette il premio Nobel per la letteratura , in quanto gli venne riconosciuto l’onore di essere uno scrittore che faceva parte della letteratura mondiale e soprattutto viene dato valore alle sue opere. Nel 1960 le condizioni di salute di Albert Camus peggiorarono progressivamente, tanto di ritrovarsi a rinunciare alla direzione del Comédie-Française illustre teatro parigino. Il 4 gennaio del 1960 morì improvvisamente coinvolto in un incidente stradale. Dopo la morte, venne pubblicato il suo ultimo romanzo autobiografico “Il primo uomo”.

Il concetto dell’assurdo:

L’assurdo, per Camus, è il tema principale della sua filosofia. L’autore lo definisce come uno stato alienante che subisce l’uomo ogni volta che mette in confronto il proprio desiderio di dare un senso logico e significante all’esistenza e la profonda delusione che deriva dall’accorgersi del fatto che l’esistenza è priva di significato, dunque è assurda. Per il filosofo questa concezione della vita non è del tutto negativa, in quanto cerca di dire che l’uomo deve affrontare l’assurdità della vita dignitosamente senza essere coinvolto in un “suicidio filosofico” e senza avere false speranze affidandosi alla religione che fornisce spesso risposte consolatorie, perciò l’uomo dovrebbe godersi la vita il più possibile.

Il teatro dell’assurdo:

Il busto dell’imperatore romano Gaio Cesare nominato Caligola, la quale figura viene ripresa come riferimento da A. Camus.

Per il teatro dell’assurdo intendiamo tutte quelle rappresentazioni teatrali, che hanno come nucleo narrativo il tema dell’assurdo e dell’esistenza. Sono delle rappresentazioni in cui spesso avvengono cose senza alcun senso logico e i protagonisti sono tormentati dal dolore dell’esistenza e dall’apatia. Per esempio “Caligola” dove il protagonista è completamente pazzo e indifferente al mondo che lo circonda. In particolare tra le battute dell’opera possiamo trovare una citazione molto celebre dell’autore: “Sono un uomo semplice, io. Dev’essere per questo che sono un incompreso.” Si può capire solo da una battuta che quest’opera teatrale è fondata sulla divisione tra i personaggi e il protagonista principale, che appare sempre apatico nei confronti del mondo intero. A sua volta l’ambiente in cui si trova il protagonista non lo comprende e soprattutto non gli appartiene per nulla.

Tutte le opere di questo genere hanno questa divisione sul piano emotivo dei personaggi e tutte si basano sui valori di indifferenza, apatia e incomprensione verso il mondo esterno. Per comprendere meglio il pensiero di Camus sul teatro, è meglio leggere alcuni parti del monologo camusiano trasmesso alla televisione nel 1959.

«Come? Perché faccio del teatro? Ebbene, me lo sono domandato spesso. E la sola risposta che abbia potuto darmi sino ad ora le sembrerà di una banalità scoraggiante: semplicemente perché una scena di teatro è uno dei luoghi del mondo in cui sono felice. Noti del resto che questa riflessione è meno banale di quanto sembri. La felicità, oggi, è un’attività originale.
[…] sono ragioni d’uomo ma ho anche ragioni d’artista, vale a dire più misteriose. E innanzitutto trovo che il teatro è un luogo di verità. Generalmente si dice, è vero, che è il luogo dell’illusione. Non lo creda affatto. Sarebbe piuttosto la società a viver d’illusione e lei incontrerà sicuramente meno istrioni sulla scena che in città. Prenda in ogni caso uno di questi attori non professionisti che figurano nei nostri saloni, nelle nostre amministrazioni o, più semplicemente, nelle nostre sale di ripetizione generale. Lo metta su questa scena, esattamente in questo posto, scarichi su di lui 4000 watts di luce, e la commedia allora non durerà più, lo vedrà in un certo senso tutto nudo, nella luce della verità. Sì, le luci della scena sono spietate e tutte le truccature del mondo non impediranno mai che l’uomo, o la donna, che cammina o parla su questi sessanta metri quadrati si confessi a modo suo e declini, nonostante i travestimenti e i costumi, la sua vera identità. E degli esseri che ho a lungo e ben conosciuto nella vita, cosi come sembrano essere, sono assolutamente sicuro che li conoscerei veramente a fondo solo se mi facessero la cortesia di voler ripetere e recitare con me i personaggi di un altro secolo e di un’altra natura. Qualche volta mi si dice: «Come concilia nella sua vita il teatro e la letteratura?» In fede mia, ho fatto molti mestieri, per necessità o per gusto, e si deve pur pensare che sono riuscito a conciliarli con la letteratura, dato che sono rimasto uno scrittore. Ho persino l’impressione che cesserei di scrivere, se a un certo punto accettassi di essere unicamente uno scrittore. Per quanto riguarda il teatro, la conciliazione è automatica giacché il teatro è per me esattamente il più alto dei generi letterari e in ogni caso il più universale».

Il drammaturgo definisce il teatro come un luogo di verità, dove tutte le persone attraverso la recitazione si mettono “a nudo” e mostrano la loro vera identità. In più accenna che la felicità è un’attività originale, cioè qualcosa che non è offerto a tutti e solo poche persone riescono a essere davvero felici. Evidentemente le persone che non sono felici, per il filosofo, si rifugiano nell’attività teatrale perché è l’unico modo per guardarsi dentro.