L’insostenibilità degli allevamenti intensivi

Scritto da Nappini Martina e Kamenova Vanessa

In questo articolo vi parleremo brevemente degli allevamenti intensivi e di alcuni problemi da essi derivanti e ti forniremo parte della soluzione al problema. Vi consigliamo di arrivare a fine articolo e non perdervi nessuna importante e attuale informazione. Inoltre, durante questo articolo non ti mostreremo nessun tipo di video in cui ti saranno mostrate immagini raccapriccianti ma ci limiteremo solamente a raccontarti quella che è la verità.

Innanzitutto cerchiamo di capire che cos’è con esattezza un allevamento intensivo. Gli allevamenti intensivi sono industrie zootecniche che si occupano di far crescere e riprodurre animali a scopo alimentare. Un allevamento intensivo altro non è che l’estrema meccanizzazione e industrializzazione dei processi di allevamento più classici e tradizionali. La finalità è quella di abbassare i costi di produzione di un bene sempre più richiesto: la carne.

Abbattere i costi di produzione e gestione, tuttavia, ha un’importante e drammatica conseguenza: il confinamento degli animali in spazi ristretti e insufficienti alle necessità dei capi di bestiame. Le industrie zootecniche hanno poco a che vedere con l’immagine che ognuno di noi ha della fattoria classica: gli allevamenti intensivi sono infatti progettati per ottenere il massimo rendimento al minor costo possibile. Spazi sovraffollati, luce artificiale (o assenza di illuminazione), gabbie, possibilità minima (se non inesistente) di movimento e abuso di medicinali e antibiotici (per contrastare l’insorgenza di continue patologie), sono le caratteristiche principali di questa contemporanea modalità di allevamento degli animali. Gli allevamenti intensivi sono dei veri e propri campi di concentramento.

In genere quando si affronta questo argomento si è soliti principalmente a parlare e a porre sotto accusa gli allevamenti intensivi cinesi e statunitensi, ma fate attenzione perché in Italia molti allevamenti si nascondono dietro la presunta qualità del made in Italy: è opinione diffusa, infatti, che sulla nostra penisola gli animali vengano allevati come un tempo. I fatti, tuttavia, ci suggeriscono il contrario: secondo i dati Istat aggiornati a dicembre 2019 nel nostro paese vengono allevati 40 milioni di polli, 8 milioni di suini, 7 milioni di ovini, 6 milioni di bovini e 1 milione di caprini. L’ultima ricerca di Greenpeace sul legame tra allevamenti intensivi e inquinamento atmosferico, poi, non fa che confermare i dati sopra riportati.

Impatto allevamenti

Impatto sull’antibiotico di resistenza

Il problema della resistenza ai farmaci è stato da tempo segnalato dalla medicina. Più vengono usati, più gli agenti patogeni si evolvono per resistergli, più diventa difficile per i ricercatori crearne di efficaci. Sono state lanciate molte campagne di comunicazione per limitare l’uso degli antibiotici, ma il problema è che la maggior parte viene utilizzata negli allevamenti intensivi. Solo in Italia parliamo del 70% sul totale venduto. E proprio dagli animali si trasmettono agli umani molti dei virus letali che hanno riempito le pagine di cronaca degli ultimi anni. L’antibiotico resistenza è diventata una vera e propria priorità di sanità pubblica a livello mondiale. Le malattie originate dagli allevamenti intensivi costituiscono una minaccia quotidiana alla salute pubblica – si è riscontrato che le forme gravi di Salmonella, il batterio che causa intossicazione alimentare, hanno sei volte in più la probabilità di verificarsi negli allevamenti in batteria piuttosto che in allevamenti non in gabbia nel Regno Unito.

Ma quali sono e che cosa c’entra la carne con la crisi climatica e ambientale?

I ruminanti (bovini, suini ed ovini) producono metano come effetto secondario dei propri processi digestivi e lo rilasciano in atmosfera proprio con questi processi digestivi o con le esalazioni derivanti dal loro letame in decomposizione. Se considerate che solo gli animali allevati negli Stati Uniti producono 500 milioni di tonnellate di letame ogni anno, ossia 3 volte la quantità di rifiuti prodotti dalla popolazione statunitense nello stesso arco di tempo, inizierete a farvi un’idea di cosa significhi per l’ambiente il nostro insaziabile appetito per la carne.

Facciamo presente che stiamo parlando di un unico gas nocivo e solamente del suo effetto in atmosfera. Ma il letame che si decompone, parlando di quantità così grosse, va a contaminare anche la nostra falda acquifera. E poi esistono anche altre sostanze, come ad esempio il protossido di azoto, che è anch’esso un prodotto secondario della decomposizione del letame dei ruminanti, ma viene immesso in atmosfera in quantità maggiore con la produzione e l’applicazione di fertilizzanti azotati, così come durante il deterioramento di un terreno ricco di carbonio, appena disboscato per creare spazio ad uso agricolo.

Ma oltre ad aggravare l’effetto serra, gli allevamenti intensivi sono il principale fattore a causare il disboscamento del polmone verde della terra, la foresta pluviale. Secondo la FAO, gli allevamenti equivalgono al 26% di tutte terre emerse, ghiacciai inclusi. A questo dato possiamo aggiungere che l’area totale dei terreni in cui si coltiva il cibo per gli allevamenti equivale al33% di tutta la terra arabile del pianeta. Sempre secondo la FAO l’allevamento occupa il 70% di tutti i terreni agricoli presenti nel mondo ed il 30% della superficie del pianeta, in crescita. Si calcola che tra il gennaio e l’agosto del 2019 5,950 chilometri quadrati di foresta pluviale sono stati bruciati per fare spazio a terreni adibiti alla coltivazione di soia o al pascolo di bovini.

Degli oltre 200 milioni di tonnellate di soia prodotti in Brasile, solamente il 6% è destinato al consumo umano, il 3% al combustibile biodiesel, il restante 91% è destinato a mangimi e farine destinate al consumo animale. Non è solo la produzione di soia la colpevole della deforestazione: il Brasile, infatti, è anche il primo esportatore di carne bovina al mondo e anche in questo caso la domanda continua a crescere. Per allevare bovini destinati all’industria della carne è necessario fare spazio, ed ecco perché gli allevatori bruciano parti di foresta da destinare a terreni da pascolo per gli animali. A questo punto, probabilmente starai iniziando a realizzare come tutte quelle costine, quegli hamburger o quei formaggi che finiscono ogni giorno nei nostri piatti non facciano poi così bene all’ambiente. Non serve prendersela con gli allevamenti, con i macelli, i supermercati o i ristoranti; le attività commerciali, infatti, rispondono ad una domanda. È quella domanda, la crea chi acquista prodotti animali. Dal 1971 al 2010, a fronte di una crescita della popolazione globale del 81%, la produzione di carne mondiale è triplicata raggiungendo una cifra di circa 670 miliardi di euro. Non ti stiamo dicendo di diventare vegetariano o vegano, ma di ridurre in modo modesto la quantità di carne e derivati che sei abituato a consumare abitualmente per il bene del nostro pianeta. In fine non ti abbiamo ancora detto che gli allevamenti intensivi sono la causa principale di perdita di biodiversità, estinzione delle specie, zone morte negli oceani, inquinamento delle acque e distruzione di habitat. È stato calcolato che ogni secondo perdiamo circa 137 specie di piante ed animali a causa della distruzione della foresta pluviale. Questa cosa rappresenta un problema perché è proprio la biodiversità e la conservazione degli habitat che garantisce la stabilizzazione del clima, l’assesto idrogeologico, il mantenimento delle barriere alla diffusione di agenti patogeni e parassiti, la formazione del suolo, la fotosintesi, il riciclo dei nutrienti ed il mantenimento della qualità dell’acqua. 

La produzione della pelle, la quale rappresenta fino al 20% del valore commerciale di una mucca, è responsabile per gli stessi danni ambientali dell’industria della carne, tra cui la produzione di enormi quantità di letame e scarti della macellazione, l’altissimo consumo idrico e l’inquinamento delle acque, dell’aria e della terra. Trasformare la pelle in pellame richiede molta energia e l’utilizzo di sostanze chimiche pericolose, tra cui la formaldeide, derivati del catrame di carbone e oli a base di cianuro, coloranti e finiture. La maggior parte della pelle prodotta negli Stati Uniti è conciata al cromo, e tutti i rifiuti contenenti cromo sono considerati pericolosi dall’EPA. Gli impiegati e i residenti nelle vicinanze delle concerie sono spesso affetti da alti tassi di cancro, malattie della pelle e malattie respiratorie. La pelle vegana è un’alternativa al cuoio animale, ottenuta da fonti vegetali. Grazie a processi di produzione innovativi, oggi è possibile realizzare il cuoio vegano usando materiali di origine naturale, spesso derivanti da scarti di lavorazioni.
La pelle vegana è dunque un prodotto cruelty free, naturale ed ecologico che consente di ottenere scarpe, borse, cinture e altri accessori normalmente prodotti con cuoio animale.
La pelle vegana può essere ottenuta da fibre vegetali, che vengono lavorate in modo tale da avere resistenza, aspetto e traspirabilità simili alla pelle animale.

Ma allora buona parte di quegli animali che non mangiamo che fine fanno?

Hai mai accarezzato un agnello? Hai mai sentito le setole ruvide di un maiale sulle mani? Ti sei mai avvicinato a un toro? Nei santuari puoi farlo, sempre che i loro residenti ne abbiano voglia in quel momento!

Il lavoro, la casa, la scuola e i nostri impegni quotidiani ci fanno dimenticare che esistono altri animali oltre cani e gatti, animali che non conosciamo. Spesso li vediamo solo nelle immagini crude e terribili degli allevamenti intensivi, ma avere un contatto con loro è possibile. Esistono infatti luoghi speciali in cui questi animali non sono considerati “merci” o “prodotti”, ma vengono trattati come dovrebbero essere: degli individui. Questi luoghi sono i rifugi.

Ma che cosa sono i santuari o rifugi e per quale motivo vengono chiamano in questo modo?

Perché vengono accolti molti animali cosiddetti “da reddito” che sono stati salvati e recuperati, e che possono avere in questi luoghi una vita degna di essere vissuta. Si possono trovare cavalli, asini, mucche, maiali, capre, pecore, galline, anatre e tutte le altre specie che l’essere umano ha deciso di sfruttare in un modo o nell’altro.

Nei rifugi gli animali vivono liberi, in spazi dove puoi vederli correre e giocare in libertà, fuori da gabbie e recinzioni di metallo. Visitandoli potrai capire che sono dei veri e propri individui e ti capiterà di scoprire cose che non avresti mai pensato su di loro.

Per esempio che ai maiali piace stare assieme, che si riconoscono e si dividono in piccoli gruppi correndo assieme. Che capre e bovini amano rosicchiare le cortecce dei tronchi più teneri, o utilizzarli per grattarsi la schiena. Insomma, avrai ancora più chiaro che questi animali hanno abitudini, personalità proprie, proprio come i nostri amici cani e gatti.

Normalmente, i santuari vengono allestiti in zone nascoste, poco conosciute e comunque difficili da raggiungere. In questo modo, si vuole evitare possibili furti, episodi di rappresaglia o violenza e anche che la gente bersagli il luogo abbandonando i propri animali in maniera indiscriminata. Ovviamente, esistono diversi tipi di strutture, in base al tipo di animali che vengono ospitati. Ci sono dei santuari di farfalle o lucciole che non hanno mura, permettendo a questi insetti di vivere e volare liberamente nella foresta.

Ci sono anche altri santuari dedicati a ospitare la fauna marina come ad esempio i delfini che vivevano nei delfinari che, successivamente, sono stati chiusi. In tal caso, e come è logico, queste strutture saranno composte da piscine adatte ad accogliere questi splendidi e intelligenti mammiferi marini.

Purtroppo però Il grosso problema che affligge i santuari di animali è il sostentamento economico. Come capirete bene, le cure veterinarie e il cibo per animali di solito hanno un costo elevato. Nonostante tali difficoltà, molte strutture riescono ad andare avanti grazie alle donazioni dei privati. Ogni santuario segue un determinato sistema di autofinanziamento. Alcuni cercano sponsor, altri organizzano eventi in cui raccolgono denaro, altri lanciano vere e proprie campagne di crowdfunding. La realtà è che ci sono pochi sussidi pubblici o aiuti e sgravi a cui i santuari possono ricorrere, quindi la maggior parte del denaro deriva semplicemente dalla generosità di pochi. Per questo motivo, raramente possono assumere personale e la maggior parte dei santuari funziona grazie al lavoro di volontari. Le pelli vegane naturali sono prodotte con mele, sughero, mais, uva, funghi, carta, ananas, soia, tè e molto altro ancora.

Spesso queste pelli vegan sono ricavate da scarti di produzione: ad esempio la pelle vegetale ottenuta dalle foglie di ulivo è prodotta con le foglie scartate dopo la raccolta delle olive, mentre la pelle che deriva dall’uva è realizzata con le bucce degli acini, prodotto di scarto dell’industria del vino.

Come aiutare un santuario?

Ogni santuario possiede un proprio sistema di lavoro, quindi se volete collaborare o partecipare, contattate i responsabili e mettetevi a loro disposizione. Oltre alle donazioni, potrebbero avere bisogno anche di materiali e mezzi di lavoro, come tendoni, secchi, coperte per l’inverno, oggetti per la pulizia e molto altro ancora. Ci sono santuari che richiedono la partecipazione di un maggior numero di volontari, che si occupino di svariate attività come la pulizia delle strutture, la pubblicità su Internet o la gestione delle reti sociali, oltre che per le pratiche burocratiche. Alcuni centri riescono ad ottenere proventi organizzando visite guidate. Fanno pagare un prezzo simbolico ai visitatori che vogliono conoscere le loro strutture e come funzionano, riuscendo a raccogliere abbastanza per poter pagare i veterinari.

Se volete dare il vostro contributo per questa causa, cercate sul web i santuari di animali più vicini a voi e preparatevi per un’esperienza che, oltre ad essere utile, vi arricchirà profondamente. Entrerete in un ambiente fatto di gente sensibile e che saprà ricompensare, in un modo o nell’altro, il vostro sforzo.

Foto del Santuario “fattoria capra e cavoli” (Lombardia)

In conclusione, vale la pena sottolineare che i santuari di animali sono solo la conseguenza del mondo crudele e aggressivo umano che affligge, quotidianamente, quello animale. Grazie a questi luoghi, però, gli animali che hanno vissuto esperienze terribili possono riprendere a vivere senza paura e senza dolore. Non restate indifferenti: tutti possono dare un contributo ed è necessario che ognuno faccia la sua parte.

Qui sotto ti lasciamo alcune regioni in cui puoi trovare dei santuari da visitare e insieme a questi un video molto simpatico e allegro che puoi vedere. 

Rifugi in Lombardia

Rifugi in Emilia-Romagna

Rifugi in Toscana

Rifugi nel Lazio

Rifugi nelle Marche

Rifugi in Puglia